Quando la professione vuole mandarci segnali esistenziali importanti e dai quali trarre spunto per ideare metodi nuovi, lo fa e basta.
Con determinazione e senza preavvisi.
Questo mi è accaduto nelle ultime settimane e desidero condividerlo con te.
Perché le esperienze e le epifanie professionali sono più comuni di quanto si pensi.
E anche perché è stata l’occasione, per me, di mettere a punto un nuovo metodo di formazione e training nella scrittura.
Complessità, emergenze, metodi = vita piena
Premetto: non sono io ad aver coniato l’espressione “vita piena”, bensì Alessia Canfarini nel suo libro Fullgevity la pienezza è nuova longevità , un testo che ho conosciuto per ragioni professionali e che ho amato da subito.
Ho voluto adottare questa espressione perché il mio lavoro presenta ricorsività che si danno convegno in momenti precisi.
Di solito, quando sono io ad averne bisogno.
E, come a volte mi accade, l’insight degli ultimi giorni l’ho vissuto in modo potente…
Se mi limitassi a constatare che la complessità genera altra complessità, avrei fatto la scoperta dell’acqua calda.
Il punto è “come”, “in quale modi” la complessità si concretizza nello scorrere della vita (e, consapevolmente, non uso la parola “esistenza”).
Di recente, ho concluso alcuni percorsi – mentre altri sono ancora in corso – di formazione e training individuali di professionisti dalle caratteristiche fortemente simili nonostante la diversità dei settori di competenza e cioè persone
- di elevata specializzazione tecnica e lunga esperienza di campo a contatto con centinaia di persone
- convinte che solo lo studio e l’approfondimento tengano alta la qualità professionale
- riconosciute come autorevoli nei rispettivi settori
Fin qui, nulla di che.
Curiosamente, diversi di loro presentano la stessa tematica: la loro mente è colma, zeppa di contenuti dei quali scrivere e da condividere, di competenze e saperi da trasferire, ma…o quella stessa mente si mette di travers” e impedisce loro la scrittura oppure consente di scrivere però in modo confusionario, senza ponti logici da un punto all’altro.
Ascoltandoli e – soprattutto – leggendoli, mi sono chiesta quale sia la ragione di ciò.
Ci ho riflettuto molto, comparato le scritture, osservato le ricorrenze e le mancanze, i linguaggi usati.
Per ciascuno di essi ho costruito una mappa rappresentativa delle aree cerebrali di comando della sua scrittura.
E la risposta mi ha sorpresa davvero.
L’elemento determinante si è rivelato consistere nell’esposizione continua e costante al contatto con persone
- affette da disturbi della personalità oppure malate terminali
- nel pieno della caduta da perdita del lavoro, difficoltà nel ricollocamento e bisognose di orientamento e nuova formazione
- finite nelle fasce delle nuove povertà, incapaci di accedere al credito e, quindi, impossibilitati a ricevere assistenza sanitaria specialistica e/o a sostenere i figli
Il tratto davvero comune sta proprio nella importante valenza sociale delle loro professioni, quella che ha trasportato (talvolta catapultato), nelle vite di ciascuno di questi professionisti, centinaia di altre vite.
Centinaia di “storie altre” all’interno di una sola vita.
La quale, a sua volta, ha filtrato, interpretato, compreso e distillato quelle “storie altre”.
Complessità dentro complessità.
Quella che preme dentro la sensibilità e la mente empatica del professionista e che chiede imperiosamente di essere trasformata in informazione, conoscenza scritta, sapere estratto.
Ecco uno dei molti modi in cui la complessità si può concretizzare nella nostra vita individuale.
Come urgenza di dare voce.
Ma, se per un verso, questa urgenza può rivelarsi come una fonte di contenuti dalla forte spinta vitale, per altro verso può porsi come un agente bloccante della scrittura.
Perché è capace di provocare l’effetto “imbuto” e ostacolare la mente nel compiere l’operazione prodromica ed essenziale alla scrittura e cioè quella che chiamo “focalizzazione argomentativa”.
Da qui è nato il metodo per aiutare quei professionisti che
- amano leggere, vorrebbero scrivere, hanno necessità di scrivere, ma che, con le loro sole forze, non riescono a uscire dal collo di bottiglia
- in ragione delle continue “finestre tematiche” che si aprono nella loro mente, non sanno
a) focalizzare l’argomento da trattare
b) costruire l’esposizione argomentativa
c) fare in modo che il pensiero laterale -di cui il loro cervello è imbevuto- sia funzionalizzato a quella scrittura.
Vivere la professione in pienezza ci fa camminare sulla strada dell’insight “più probabile che non”.
E anche se ciò può essere fonte di responsabilità, rimane, sempre e comunque, un’esperienza bellissima.
Non lo pensi anche tu?
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