Scrittura e sceneggiatura
Definita da Siy Field come “storia raccontata per immagini, con dialoghi e descrizioni, ambientate in un contesto di struttura drammatica” e da Pasolini come una “tecnica autonoma, un’opera integra e compiuta in se stessa”, la sceneggiatura si caratterizza per essere la trasposizione, in linguaggio scritto e scena per scena, di una rappresentazione audio od audiovisiva.
Con particolare riguardo all’area cinematografica, la sceneggiatura è quel testo in cui l’autore enuclea i singoli passaggi di un film indicando gli elementi ambientali di ogni scena (luogo in cui deve svolgersi, suoni da riprodurre), le azioni compiute da ogni personaggio, i dialoghi.
Non solo.
La sceneggiatura contiene anche la descrizione dettagliata delle singole inquadrature in modo da avere una visione dinamica delle immagini che la macchina da presa coglierà.
A questo proposito, Ugo Pirro sostiene che “Un soggetto cinematografico si scrive con la penna e con la cinepresa. La penna è stretta fra le dita, la cinepresa è situata accanto all’occhio, alla stessa altezza, se non addirittura incorporata nella pupilla dell’occhio dominante”.
La maestria dello sceneggiatore non sta soltanto nella sua capacità di offrire un valido tessuto narrativo, ma anche nel non perdere di vista i destinatari della sceneggiatura, primi fra tutti, il produttore ed il pubblico.
Per questa ragione è utile che il registro linguistico della sua scrittura sia netto e rapido, ma anche vivo e suggestivo in modo che il produttore abbia, sin da subito, la chiara rappresentazione mentale dell’opera e possa valutare efficacemente sia gli aspetti del film che colpiranno il pubblico sia il piano di lavoro ed i costi che esso richiede.
Sul piano estensivo, una sceneggiatura è la risultante di un vero e proprio processo ideativo che, partendo dall’intuizione creativa, giunge alla formulazione della relativa storyboard passando per tappe intermedie metodologicamente individuate.
Tutto ciò senza tralasciare che, nell’ambito della rappresentazione cinematografica, il metro di valutazione è identico a quello delle altre arti ovvero, usando le parole di Gadamer, “il mondo che appare nel gioco della rappresentazione non sta accanto al mondo reale come una copia, ma è questo stesso mondo reale in una più intensa verità del suo essere”[4].
Lo stile ideale per la stesura di una sceneggiatura richiede una scrittura semplice ma efficace e ciò significa qualcosa di ben preciso.
Il testo è finalizzato a proiettare immagini nella mente del lettore.
Pertanto, la scelta dei vocaboli dev’essere esatta rispetto sia all’immagine sia alla sensazione che si vuol trasferire al lettore: non si possono usare termini approssimativi o analoghi tra loro per difetto.
Se il personaggio, in una scena, dev’essere malinconico lo sceneggiatore non può scrivere che è triste perché questo termine indica uno stato d’animo diverso da quello della malinconia.
Analoga considerazione per quanto riguarda la descrizione degli ambienti e dei personaggi. Entrambi devono essere descritti al loro apparire e non già in un momento futuro rispetto alla loro apparizione.
L’immaginazione di un ambiente è resa possibile dall’indicazione del suo stile, dell’atmosfera che vi si respira e delle sue contingenti condizioni materiali mentre per immaginare un personaggio e la sua caratterizzazione bisogna poterne leggere l’età, il tipo di abbigliamento, un accenno alla gestualità o all’andatura.
Inoltre, occorre prestare attenzione all’effetto della ridondanza.
Il ritmo è uno degli elementi essenziali di un film: lunghe descrizioni relative ad elementi di secondo piano oppure prive di reale funzione narrativa frustrano il ritmo.
Infine, come accennato, la sceneggiatura deve contenere indicazioni anche sulle inquadrature compresi i movimenti della macchina da presa: il “punto e a capo” sulla carta equivale al “cambio di inquadratura”.
Nella tradizione anglosassone l’ultimo step del processo creativo di una sceneggiatura è la storyboard vale a dire la realizzazione grafica, inquadratura per inquadratura, di ciò che verrà girato ed è per questo che la sua utilità pratica è rivolta, particolarmente, al regista. Ogni tavola contiene le indicazioni sulla direzione di movimento sia della macchina da presa che dei personaggi.
La funzione della sceneggiatura
La sceneggiatura cinematografica è funzionale alla realizzazione di un film.
Forse, proprio la sua funzione ha contribuito al dibattito sulla sua natura letteraria o meno.
O meglio, sulla riconoscibilità, alla sceneggiatura cinematografica, della dignità di genere letterario.
La ripetizione dell’aggettivo “cinematografica” è dovuta al fatto che, al contrario, la sceneggiatura teatrale è pacificamente considerata letteratura.
Di regola, nell’ambito del teatro, la sceneggiatura di una commedia coincide con il relativo testo originale scritto dall’autore.
Qualcuno dubita che le commedie scritte da Pirandello o da Eduardo De Filipp siano letteratura? No affatto.
Lo stesso non può dirsi per la sceneggiatura cinematografica.
“Di solito si pensa che la sceneggiatura faccia parte di un genere letterario. Non è così. Non ha nessuna relazione con la letteratura e non può averne. Se vogliamo che la sceneggiatura si avvicini al film, la scriveremo così come verrà ripresa, cioè annoteremo a parole ciò che vorremmo vedere sullo schermo.[…] Una vera sceneggiatura non deve avere la pretesa di essere un’opera letteraria compiuta”. Questa la visione di Andrej Tarkovskij.
In epoca pressoché coeva, nella Sezione “La sceneggiatura come struttura che vuol essere altra struttura” di Empirismo Eretico- si legge “(…) l’autore di una sceneggiatura fa al suo destinatario la richiesta di una collaborazione particolare, quella cioè di prestare al testo una compiutezza « visiva » che esso non ha, ma a cui allude.
Il lettore è complice, subito nell’operazione che gli è richiesta: e la sua immaginazione rappresentatrice entra in una fase creativa molto più alta e intensa, meccanicamente, di quando legge un romanzo”.
Lo sceneggiatore chiede al lettore di applicare una vis immaginativa e, quindi, creativa più potente e raffinata di quella impegnata nella lettura di un romanzo.
Gli chiede di partecipare, non solo di leggere.
Il lettore che accede a questa richiesta e la adempie offre il suo contributo all’intesa che, muta, si stabilisce con lo sceneggiatore.
Ed è questo incontro di volontà, questa muta intesa che emancipa la sceneggiatura dal suo ruolo ancillare e la colloca nel sancta sanctorum letterario.
Questa la visione di Pier Paolo Pasolini.
Sceneggiatura e scrittura creativa
Ciò di cui si è parlato sinora pone un interrogativo: “La sceneggiatura è apprezzabile sotto un profilo estetico al pari di un romanzo o di un racconto?”
Ed a questa domanda, se ne presuppone un’altra:“ la scrittura di una sceneggiatura, specialmente quella cinematografica, può qualificarsi come creativa?”
L’autore di un romanzo fonda la sua narrazione su una ispirazione di tipo creativo, un’idea può essere attinta dalla realtà della propria esperienza sensoriale od intellettuale, dall’immaginazione, da un fatto di cronaca.
Tutto ciò che fa parte del mondo concreto o immaginario può essere la scintilla di un’intuizione creativa che spinge l’autore verso una profonda esplorazione della propria interiorità, verso l’ascolto della sua personale emotività consentendo la nascita di una o più storie.
Così sollecitato, il percorso immaginativo dell’autore fa una selezione tra le storie che la sua mente è impegnata a guardare: alcune si impongono, altre fanno da corollario, altre ancora vengono scartate.
Oppure l’autore rinuncia a tutte ed è proprio questa sorta di agenesia a condurlo oltre l’immaginario, a creare nuovi scenari.
È grazie al lavorìo della sua capacità creativa che l’autore perviene allo sviluppo del tema narrativo.
Ma se la creatività è il lasciapassare per entrare nel territorio della narrazione, lo studio e la capacità tecnica sono il vettore per percorrerlo.
Neppure gli scrittori del “flusso di coscienza” si astengono dall’uso della tecnica che non riguarda soltanto l’apparato linguistico della narrazione, ma procede dal momento ontologico della stessa.
Focalizzata la storia da narrare, stabilitane la fabula – cioè la sequenza cronologica degli eventi- lo scrittore costruisce la trama ovvero l’andamento della storia con i suoi personaggi, le loro interazioni, il loro agire che imprime dinamismo alla storia stessa.
Dentro a questo dinamismo e, al contempo, in ragione di questo dinamismo, l’autore forgia il nucleo drammaturgico della storia che si identifica con
- il risultato dell’obiettivo che all’interno del proprio status il personaggio principale vuol raggiungere e
- l’ostacolo che si frappone tra il personaggio e l’obiettivo stesso.
Perché ciò accada, la storia deve procedere in avanti grazie all’interazione dei personaggi i quali creano la catena degli eventi narrativi – anch’essi, come nella sceneggiatura- aristotelicamente legati da un nesso di causa-effetto.
Altrettanto aristotelicamente la narrazione deve svolgersi secondo il modello inizio-parte centrale-climax e fine.
Nell’inizio si stabiliscono, da subito l’ambiente, il personaggio principale e quelli secondari.
Tutto deve immediatamente entrare nella carne viva dell’azione e “agganciare” fortemente l’attenzione del lettore: il linguaggio è vivido d il lettore comincia subito ad immaginare. È una porzione di narrazione che si chiude nel momento in cui si è verificato l’evento che spinge il protagonista principale al cambiamento e che introduce il confronto.
La parte centrale è formata dall’avvicendamento tra le scene in cui si sviluppa il conflitto ed i sequel.
Il climax e la fine sono l’ultima parte dell’opera nelle quali, rispettivamente, si raggiunge il vertice narrativo con il protagonista che affronta di petto il confronto.
Un bravo autore ha condotto il lettore sino a questo punto tenendo alta e costante la tensione narrativa ovvero quella frusta psicologica con cui lo scrittore afferra il lettore all’inizio dell’opera e lo tiene soggiogato sino al climax ed alla fine.
Vi è un solo mezzo per farlo: scegliere e calibrare bene le informazioni da fornire al lettore e farlo con quella sapienza tecnica che parte dalla conoscenza linguistico-sintattica, passa attraverso l’uso appropriato delle figure retoriche nonché tramite l’abilità nel costruire un intreccio maneggiando opportunamente flashback, flashforward etc.
La tensione narrativa si scioglie definitivamente nel finale che, di solito, sorprende il lettore non tanto per il tipo di risoluzione del conflitto da parte del personaggio principale- il lettore “agganciato” ed attento ha già in animo “come” l’opera terminerà- quanto per la modalità.
Nel finale l’autore deve poter offrire qualcosa di inatteso, una specie di ricompensa al lettore che ha seguito la narrazione sino a quel momento.
Soddisfare il sistema mesolimbico dopaminergico del lettore significa garantirsi affezione verso il libro appena letto e creare aspettativa di altre opere da parte dello stesso autore.
Questo lo sviluppo della trama dell’opera.
Per metterla su carta in modo completo, consequenziale e coerente l’autore deve costruirne la struttura vale a dire l’architettura, il tratto di sviluppo; in questa fase lo scrittore stabilisce se e quanto l’intreccio debba aderire alla fabula determinando, così, il grado di linearità della storia.
Ebbene, il canone ermeneutico dell’analogia sin qui applicato, ci porta a concludere che i presupposti per la formulazione di un giudizio estetico sulla sceneggiatura sono gli stessi dell’omologo giudizio relativo all’opera narrativa.
Con massima semplificazione, si può dire che una sceneggiatura è “brutta”o “bella” a seconda che ricorrano o difettino un’idea forte e un soggetto interessante, una scaletta ben articolata ed un testo di sceneggiatura importante per spessore del personaggio, intensità e calibro del nucleo drammaturgico, svolgimento della storia in cui quel nucleo si sia sviluppato in modo originale e, soprattutto, completo.
Altrettanto, un romanzo è “bello” o “brutto” a seconda che possa contare, o meno, su un’importante idea creativa, una struttura presente e solida, una trama coinvolgente per il lettore perché ben calibrata e condotta nel suo corpo drammaturgico.
Ne discende che la sceneggiatura appartiene senz’altro all’area della scrittura creativa.
Se abbia, oppure no, dignità di genere letterario è un interrogativo che consegno a te che leggi questo articolo.
Mi limito a offrirti una suggestione
“ Tutto bruciava. Il sole tenero della mattina di fine estate era come calce rovente. Una faccia bruciata alzò la scucchia coi due buchi sulle guance per la magrezza, e lo sguardo acquoso; e disse:
SCUCCHIA Ecco la fine del mondo. Fateve vede bene, mm v’ho mai visto de giorno! V’ho sempre visto a lo scuro! Che, le donne v’hanno fatto sciopero?
E rise, sdentato.
Si era rivolto a chi? A una batteria di sbragati sulle seggiolette cotte dal sole di un baretto della Marranella. Tra questi, fu Mommoletto che ribatté allo Scucchia:
MOMMOLETTO Ancora non sei morto? Eppure m’hanno detto che il lavoro l’ammazza la gente!
Mommoletto era un bassetto, con l’occhi storti, che rideva sempre come un pupazzo. Accanto a lui, uno si fece versare da un altro, sulle mani a conca, dell’acqua minerale: e si lavò la faccia. Erano Alfredino, alto alto, nero, col naso schiacciato di un marocchino, e il Vecchietto, un teddy, elegantissimo – il vestito a puntini, la cravatta corta col nodo grande, la spilla- ancora
imberbe.”
Si tratta della prima scena dalla sceneggiatura di “Accattone” scritta da Pier Paolo Pasolini: qualcosa che merita di essere meditata.
Hai un’idea sulla quale costruire una sceneggiatura? Ne hai scritta una e desidera sottoporla a revisione? Contattami!
Sarò felice di aiutarti.