
L’umorismo è umano.
Sa essere scomodo, consolatorio, liberatorio. Sa creare complicità o esclusione.
È un atto creativo, certamente, ma anche un gesto sociale: di denuncia, di smascheramento dei cliché, di costumi diventati pregiudizi e sovrastrutture.
Tuttavia, oggi, l’essere umano non è più solo sulla scena: si confronta con l’intelligenza artificiale.
E la domanda arriva da sé: l’AI possiede l’ironia?
Oppure fa ciò che sa fare meglio — imitare, combinare pattern, sembrare — generando un’involontaria comicità che a volte fa ridere?
L’umorismo non è una formula
l’AI è in grado di generare frasi con una grammatica coerente e nel rispetto delle regole della sintassi della lingua.
Ciò non cambia quando si tratta di geerare testi umoristici o ironici.
Anche in questi casi, l’intelligenza artificiale sa riprodurre le strutture sintattiche di una battuta, i cliché e i luoghi comuni delle barzellette e persino i tempi comici più comuni.
Ma…c’è qualcosa che l’AI non può riprodurre perché non lo possiede.
Mi riferisco al senso sociale del comico, che vive di ambiguità intenzionale, di rottura delle attese, di posizionamento sia emotivo che ideologico.
L’ironia, vive “di” e “nel” contesto, perciò chi la pronuncia sa a chi sta parlando, con quale intento e in quale clima. Al contrario, l’AI opera in assenza di coscienza situata.
Il senso sociale del comico, spesso, è sovversivo: mette a nudo le incoerenze del potere, lo svillaneggia, se ne prende gioco.
L’AI non potrebbe farlo per la stessa ragione in virtù della quale usa sempre un linguaggio accomodante con te così con chiunque: perché è abituata a lavorare su dati già esistenti, non su visioni.
Certo, può generare un testo che, sulla base di un prompt ad hoc, simula la satira, ma…la simula soltanto col risultato di somigliare a un’eco dell’umorismo umano.
In sostanza: l’AI può dire cose che sembrano battute, ma non ha la minima idea del “perché” dovrebbero far ridere.
E questo trasforma molte delle sue uscite in parodie inconsapevoli.
L’ironia richiede coscienza doppia
Il senso sociale del comico è spesso sovversivo: smaschera incoerenze, deride il potere, lo svillaneggia.
L’AI non può farlo per una ragione semplice e profonda: non ha visione.
Lavora su dati preesistenti, non su rotture di paradigma. Per questo usa un linguaggio accomodante con te come con chiunque. Per questo non prende mai posizione.
Certo, su input umano può simulare un testo satirico.
Ma simula soltanto, col risultato di sembrare un’eco dell’umorismo umano.
“Rido, quando mi pare rido”
Ridere insieme di una battuta ironica. Ognuno di noi lo ha sperimentato molte volte.
Ma c’è una ragione precisa se ridiamo tutti insieme in un determinato contesto: perché ci riconosciamo tutti nella visione del mondo che quella specifica battuta comunica.
Hai mai provato a ridere “con” l’AI?
Difficile, vero? Certo, perché l’intelligenza artificiale ti fa ridere da solo/a: quando funziona sembra “troppo giusta” per essere vera e quando non funziona, è goffa.
La mancanza di coscienza e consapevolezza “di fare” e “di sapere cosa si sta facendo” è ciò che impedisce la connessione tra uomo e macchina anche per quel che riguarda l’ironia, l’umorismo.
Per nostra fortuna.
Altrimenti ci sarebbe ben poco da ridere.
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