Articolo di Gabriele Mariani – Coach4Store/Business Coach/Certifier OKR Practitioner
“Il negozio vive”
Il linguaggio umano sembra fatto per distinguere. Più ricche sono le distinzioni più aumenta lo spettro di possibilità di vedere la realtà da altri punti di vista.
L’esempio classico è quello degli eschimesi che pare abbiano 27 parole per descrivere la neve. Anche se ad un’attenta verifica scoprissimo che solamente 7 di queste sono attendibili, il numero è abbastanza alto per suscitare una domanda: come vede la neve un eschimese? Non certo come faccio io. Il mio vissuto e la mia cultura non mi permettono di descrivere 27 stati di esistenza di un elemento che io descrivo banalmente solo con la parola “neve”.
Se ho davanti un oggetto e per necessità gli attribuisco due, tre o “n” nomi a seconda delle condizioni in cui si trova, arricchisco la sua diversità e questo di riflesso cambia l’angolatura della mia percezione e la relazione con l’oggetto osservato.
Quindi possiamo dire che le parole scelte e usate per descrivere una situazione possono influire sul modo in cui percepiamo la realtà.
Questo è vero perché è stato dimostrato che il linguaggio ha una funzione cognitiva, cioè influenza il (ed è influenzato, a sua volta, dal ) pensiero, dalla memoria, dalla percezione e dall’attenzione.
Anche i manager conoscono bene (o dovrebbero) l’importanza del distinguere grazie al linguaggio: essere in possesso di parole nuove è una grande ricchezza, ma lo è ancora di più rinnovare il linguaggio comune attraverso sfumature di significato. Questo permette di riprogettare il futuro a partire dalle risorse attuali.
Le distinzioni linguistiche e il dialogo interno
Nel coaching ontologico trasformazionale, uno dei numerosi approcci di questo metodo di sviluppo personale, grazie alle distinzioni linguistiche è possibile riflettere sul significato delle parole, incorporare nuove interpretazioni e adottare nuovi occhiali per vedere la realtà. Il vantaggio di avere nuove interpretazioni permette di innescare un assestamento nel dialogo interno del coachee e intraprendere azioni nuove.
Se è vero il presupposto che “la parola è azione”, questo assume un senso concreto.
Per esempio: la “generosità” può essere intesa come non solo “dare”, ma, in più, “lasciare lo spazio al ricevere”, e permettere che accada qualcosa di diverso che prima non esisteva. Lasciando uno spazio per ricevere ciò che gli altri possono darci, generiamo relazioni più equilibrate, affinché non ci sia sempre qualcuno che dà e qualcuno che sempre attenda o riceva.
Non è una contrapposizione o un gioco binario di parole, è piuttosto allargare il campo semantico del loro utilizzo. È un “in aggiunta a” che consente altri giudizi, altre convinzioni e quindi…altre azioni.
Questo nuovo orizzonte “donato” da un utilizzo diverso delle parole permette al coachee di riallineare il dialogo interno, ovvero i pensieri legati ad una certa situazione.
Il dialogo interiore costituisce una parte importante della nostra essenza.
È come una voce che ci ripete alcune frasi nella nostra testa. Non si può pensare di zittirla né sovrastarla con un dialogo più forte e rumoroso.
È di fatto una diretta conseguenza del nostro vissuto: da una parte ci sono le frasi che ci ripetiamo da sempre che derivano dai nostri convincimenti e dalle nostre credenze; dall’altra può essere frutto di esperienze momentanee e situazioni specifiche che ci proiettano in una condizione nuova. Per questo è importante riconoscerlo e, meglio ancora, condividerlo.
Ma come possono le distinzioni linguistiche aiutarci ad assestare questo dialogo interno e magari aumentare il numero di frasi disponibili?
Il caso di Mario
Partiamo da un caso di vita reale che mi è successo di recente:
Mario (pseudonimo) è un area manager di un importante catena di negozi, ha un carattere solare e aperto e riesce in genere a prendere decisioni in ambiti complessi. Recentemente ha dovuto fronteggiare una grave perdita di utili e fatturato da parte dell’azienda, con delle conseguenze immediate sulla gestione del personale che è diventata più rigida a causa dei mancati introiti. È costretto a dire più “no” di quanti ne abbia detti in passato e la sua solarità sta lasciando il posto ad una crescente preoccupazione anche a causa del malcontento dei suoi collaboratori.
In una sessione di coaching con me, Mario mi confida che mancano le risorse per far fronte anche alle più comuni richieste degli Store Manager. Non sarà possibile assumere gli operatori stagionali e in queste condizioni aumenteranno sicuramente le dimissioni a causa del sovraccarico di lavoro. Uno scenario, dal suo punto di vista, apocalittico che peggiorerebbe ulteriormente la sua attuale condizione.
Dopo una verifica verbale, comprendo che Mario, in questo momento, è preoccupato per una situazione futura a cui sente di andare incontro. A questo punto come coach provo ad introdurre una delle distinzioni linguistiche più famose: “preoccuparsi/occuparsi”.
“Pre-occuparsi” è del tutto normale ed è utile per adottare comportamenti di protezione anticipata come se volessimo prevenire un problema, ma in alcune situazioni può diventare stressante e paralizzante. Rimanere in uno stadio di preoccupazione costante significa anche attivarsi per un futuro che ancora non è accaduto e, se protratto per lungo tempo, potrebbe non farci valutare come adeguate le nostre risorse e distoglierci dalla soluzione. Le nostre azioni sono influenzate dalle nostre opinioni e le nostre opinioni derivano dai giudizi di noi stessi e di ciò che ci accade.
“Occuparsi” significa invece attivarsi per ricercare una soluzione, farsi carico del problema e focalizzarsi sul qui e ora. L’azione stessa implica coraggio e stimola connessioni e nuove consapevolezze sui nostri limiti, le nostre percezioni e le soglie da varcare.
Quindi la mia risposta a Mario è stata orientata a restituirgli un feedback iniziale
“Posso notare in te un atteggiamento teso a vedere il futuro con pre-occupazione. Cosa puoi fare oggi per prepararti? Se ci fosse solo un’area veramente importante di cui vorresti occuparti quale sarebbe?
Mario in un primo momento si è sentito spiazzato dalla mia domanda e non è riuscito a rispondere nell’immediato…eppure ho visto nel suo sguardo il guizzo creativo di chi ha trovato un’intuizione. Il suo dialogo interno è stato stimolato dalla percezione di una nuova prospettiva che non annullava la precedente, ma che in qualche modo aumentava lo spazio di azione.
Questo è il primo vero step di consapevolezza.
Solo quando il nuovo dialogo interno (con le nuove parole) comincerà a prendere forma, solo quando le emozioni saranno riconosciute, sarà possibile per Mario ipotizzare delle nuove opzioni per agire all’interno di un perimetro percepito come “più ampio”.
Conclusioni
Il dizionario delle distinzioni linguistiche utilizzate nel coaching è in continuo aggiornamento, alcune delle più utilizzate sono
Fatti/Opinioni, Vittima/Responsabile, Fallimento/Errore, Eccellenza/Esigenza.
In realtà già tutti noi utilizziamo le distinzioni linguistiche per osservare la realtà e partiamo sempre dal nostro bagaglio culturale o personale. La scelta dei diversi punti di vista ci porta a dialogare internamente e scegliere una strada di interpretazione piuttosto che un’altra.
Il dialogo con gli altri e con noi stessi rappresenta la nostra stessa essenza. Eppure, a volte questo dialogare potrebbe incepparsi, diventare statico o addirittura negativo, impedendoci di affrontare la routine quotidiana con la nostra solita efficacia personale.
Utilizzare la logica del pensiero verticale è solo uno dei modi di affrontare il problema, ma in mancanza di risultati visibili immediati potrebbe farci sentire piuttosto inadeguati.
Il segreto, se così si può dire, è ampliare le nostre prospettive grazie all’utilizzo di nuove distinzioni linguistiche e connessioni emotive per allargare la modalità di azione e concorrere alla creazione di nuove possibilità di scelta.
Materiali consultati : Master Scuola Abla Coaching
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