Katia Bovani

La sceneggiatura: analisi di una scrittura

Scrittura sceneggiatura

Cos’è una sceneggiatura?

Sei un appassionato di cinema e vorresti cimentarti nella scrittura cinematografica?

Allora, il tuo lavoro deve partire dalla conoscenza delle basi di questa scrittura.

Ecco perché tanto la domanda contenuta nel titolo quanto la sua risposta sono importanti.

Da un punto di vista formale la sceneggiatura è la trasposizione, in linguaggio scritto e scena per scena, di una rappresentazione audio od audiovisiva.

Oltre a essere stato uno dei maggiori sceneggiatori di Hollywood, Syd Field è il teorico della struttura della sceneggiatura. Nel suo famoso libro La Sceneggiatura. Il film sulla carta, dipinge la sceneggiatura come una <<storia raccontata per immagini, con dialoghi e descrizioni, ambientate in un contesto di struttura drammatica>>

Mentre nella sua opera Empirismo eretico, Pier Paolo Pasolini specifica che la sceneggiatura non è tanto un prodotto quanto una tecnica, vale a dire una <<tecnica autonoma, un’opera integra e compiuta in se stessa>>.

Sul piano sostanziale, la sceneggiatura è il testo in cui l’autore enuclea i singoli passaggi di un film. In esso indica gli elementi ambientali di ogni scena (luogo in cui deve svolgersi, suoni da riprodurre), le azioni compiute da ogni personaggio, i dialoghi.
Non solo.
La sceneggiatura contiene anche la descrizione dettagliata delle singole inquadrature in modo da avere una visione dinamica delle immagini che la macchina da presa coglierà.

A questo proposito, nel libro Per scrivere un film, Ugo Pirro afferma che <<Un soggetto cinematografico si scrive con la penna e con la cinepresa. La penna è stretta fra le dita, la cinepresa è situata accanto all’occhio, alla stessa altezza, se non addirittura incorporata nella pupilla dell’occhio dominante>>

La struttura della sceneggiatura.

Questo testo creativo si articola in  cinque fasi. Vediamole.

  1. Idea
    La sceneggiatura procede da un’idea cioè da un’ispirazione, un guizzo creativo suggerito da un suono, la vista di qualcosa, una sensazione.
    Un esempio di idea cinematografica è raccolta nel passo di “Quel bowling sul Tevere” in cui Michelangelo Antonioni racconta: <<Ero dunque a Roma con la macchina fermo sul lungotevere che costeggia la zona dove sorge il Villaggio olimpico. Cercavo qualcosa che avevo perduto (io passo gran parte del mio tempo a cercare). Alzando gli occhi vidi un uomo uscire dall’edificio dove si gioca al bowling. Il suo modo di raggiungere la macchina, di aspettare prima di aprire lo sportello, di salirvi erano insoliti. E così lo seguii. Quello che segue è il racconto del mio fantasticare su di lui>>.
    Dunque, l’idea nasce da un quid che colpisce il sistema percettivo e da cui si ritrae un’emozione istantanea oppure anche meditata: piace così tanto da volerci costruire attorno una storia.
    Si tratta del nucleo drammaturgico del film ed è presentato, specialmente al produttore, sotto forma di “story concept” ovvero una frase formata da un massimo di 25 parole nelle quali lo sceneggiatore sintetizza, in modo semplice ed efficace, la storia che vuol presentare.
  2. Soggetto
    Successivamente alla formulazione dell’idea, lo sceneggiatore elabora il soggetto che si identifica con lo sviluppo dell’idea sotto forma di racconto letterario breve.
    In esso si svolge una ricognizione delle caratteristiche principali della storia, il suo genere, l’indicazione del tempo e dello spazio in cui si ambienta, la descrizione dei personaggi principali e l’evoluzione della trama sino alla sua conclusione.
    Attingendo ad Aristotele, il modello più tradizionale di sceneggiatura cinematografica prevede una struttura tripartita della stessa.
    Pertanto, anche il soggetto si articola in tre parti: la prima è dedicata all’impostazione  della storia, nella seconda se ne indica lo svolgimento, la terza è deputata alla risoluzione.
    La stesura del soggetto impone una scrittura estremamente semplice e sintetica, priva di fregi letterari e di elementi intellettualistici. Tuttavia, l’essenzialità espositiva non intacca affatto la letterarietà del soggetto.
    Anzi.
    L’argomento fa tornare alla memoria la musicalità di Ugo Pirro quando ricorda ai suoi lettori che <<Un soggetto si scrive come un racconto: è un racconto in cui lo scrittore non denuncia la sua presenza, si rende invisibile e muto, non azzarda commenti, se usa forme di rallentamento non divaga, invade campi lontani, impertinenti, collegati alla storia che si intende narrare per associazioni multiple. La sua posizione è simile a quella dello spettatore. Il soggettista, in altri termini, anche se parla di se stesso è come se parlasse di altro, dal momento che nelle immagini che saranno filmate egli non ci sarà. Lascia, insomma, parlare i fatti e rende esplicito che si tratta di fatti destinati a essere trasformati in immagini. Ed è ancora letteratura>>
  3. Scaletta
    Immediatamente dopo il soggetto, lo sceneggiatore formula la scaletta che si propone come un vero e proprio elenco degli eventi principali del film stilato per scene numerate progressivamente: in ogni punto la scena sequenza è riassunta con una frase che ne esplicita l’azione cosicché la scaletta prende la forma di un promemoria che lo sceneggiatore utilizzerà nella stesura della sceneggiatura.
    La scaletta rappresenta il punto in cui il soggetto – e, quindi, la fase letteraria della storia – assume virtualmente la dimensione costruttiva del film; la sua funzione è quella di testare l’efficacia della successione temporale degli eventi che il film narrerà.
    Occorre tenere presente che la scaletta non contiene la successione cronologica dei fatti come avvenuti bensì l’ordine con il quale gli avvenimenti vengono presentati nel film.
    In buona sostanza, la scaletta corrisponde a quello che i formalisti russi identificavano con l’“intreccio” il quale si distingue dalla “fabula” per essere, quest’ultima, l’ordine cronologico degli eventi comunicati nell’opera mentre il primo è l’ordine con cui quegli stessi eventi appaiono nell’opera.
  4. Trattamento
    Lo step successivo alla scaletta è quello del trattamento che, posto in relazione al soggetto, Sid Field cristallizza così: <<Prima di poter scrivere qualsiasi cosa, dobbiamo avere presenti quattro cose: la fine, l’inizio, il primo e il secondo colpo di scena. Una volta strutturato il soggetto all’interno di questi quattro elementi, siamo in grado di raccontare la storia in modo drammatico, narrativo. In effetti, drammatizzare significa raccontare una storia e implica un senso, una direzione, un movimento, una linea che si sposta da un inizio a una fine>>
    Dunque, scrivere il trattamento significa trasporre il soggetto in prosa seguendo l’ordine della scaletta ed usando un registro linguistico non più cinematografico bensì immaginifico ed evocativo.
    Immaginifico per quanto attiene la storia sia nel suo sviluppo generale che nei suoi elementi di dettaglio; evocativo per quanto riguarda la vita, la natura e gli stati emotivi dei personaggi.
    Tutto ciò senza perdere di vista che questo momento narrativo è funzionale a far sì che il lettore del trattamento possa immaginare lo sviluppo del film e, persino, calarsi in esso.
    Per questa ragione l’autore è chiamato all’uso di un linguaggio analitico nella costruzione dei dialoghi, nella descrizione delle immagini, nell’indicazione dei suoni, nell’impostare il ritmo, nell’offrire la numerazione e l’ordine progressivo delle inquadrature.
  5. Sceneggiatura
    Di seguito al trattamento v’è la scrittura della sceneggiatura.
    La letteratura di genere ha tramandato tre modelli di sceneggiatura:
    all’italiana: prevede l’impiego di una sola pagina per ogni singola scena. La pagina è suddivisa in due colonne: la colonna sinistra è riservata alla descrizione degli elementi visivi mentre quella  destra è destinata alla descrizione degli elementi sonori ovvero dialoghi, rumori e musica.
    – alla francese: in essa la parte descrittiva impegna tutta la pagina e i dialoghi vengono inseriti in una colonna sulla parte destra della pagina stessa.
    – all’americana: questo modello ha subito un così intenso uso da divenire il pattern d’elezione nella scrittura della sceneggiatura; esso prevede che la descrizione sia svolta a pagina intera mentre i dialoghi occupano una colonna al centro della pagina.
    Da un punto di vista strutturale, la sceneggiatura si è attestata sul modello restaurativo in tre atti il quale è geneticamente ricollegabile, come accennato in precedenza, alla struttura della tragedia greca così come analizzata e descritta da Aristotele nella Poetica.
    Secondo il filosofo, il legame esistente tra gli eventi della narrazione è di tipo logico vale a dire sorretto non già dall’intelligenza meditativa, ma da quella dell’azione.
    Dalla natura logica di questo legame discende  che gli eventi sono collegati tra di loro secondo una cadenza successoria necessitata – e, al contempo, teleologicamente orientata- dall’esigenza di compimento: così come ha avuto inizio, la catena degli eventi deve giungere ad una fine.
    Quindi, non un componimento tragico formato da meri episodi che priverebbero l’opera del carattere dell’universalità bensì una concatenazione di eventi legati, l’uno all’altro, da un nesso di causalità.<<Un tutto è ciò che ha principio, mezzo e fine>>: decisamente, Aristotele non ama le ridondanze.
    Inizio, svolgimento, fine nella tragedia. Atto primo, Atto secondo, Atto  terzo nella sceneggiatura.
    Il teorico della struttura tripartita della sceneggiatura è Sid Field.
    Egli parte dal duplice presupposto che la scrittura di una sceneggiatura ha bisogno di un modello e che la costruzione di un modello di scrittura cinematografica è indispensabile al pari dell’operato degli scienziati i quali, esplorando i misteri dell’atomo, costruiscono modelli.
    Stabilito questo principio, Field propone il proprio paradigma di sceneggiatura in tre atti pari a circa 120 pagine di scrittura così quantificate sulla scorta del fatto che, solitamente, un film ha una durata di due ore suddivise in centoventi scene. Una scena corrisponde a circa un minuto di montato e quest’ultimo equivale a una pagina.
    Ciascun atto è <<un’unità, o blocco, di azione drammatica>>, dice Sid Field.
    Il primo atto si chiama impostazione, deve occupare le prime trenta pagine e delinea immediatamente la storia anticipando ciò che avverà in seguito. In essa <<[…] si deve delineare il soggetto, vanno introdotti i personaggi, i presupposti drammatici, si crea la situazione e si disegnano scene e sequenze che costruiscono e ampliano le informazioni>>.Il momento clou del primo atto si trova, all’incirca, a pagina venticinque allorchè lo sceneggiatore deve inserire il primo colpo di scena (l’anagnorisis, un Deus ex machina, un flashback,una peripezia o qualunque altro espediente cinematografico utile allo scopo) che spinge la storia verso il secondo atto e ne determina l’avvio.
    Il secondo atto prende il nome di confronto e si protrae per sessanta pagine di sceneggiatura.
    Field lo definisce <<l’unità di azione nella quale il personaggio affronta e supera (o non supera) tutti gli ostacoli per realizzare le sue esigenze drammatiche. Se sappiamo cosa il nostro personaggio principale vuole vincere, ottenere o realizzare (le esigenze drammatiche), ecco che la nostra storia diventa quella del personaggio che supera tutti gli ostacoli per realizzare le sue esigenze drammatiche>>.
    Il secondo atto è permeato da una situazione di conflitto che si basa sul fatal flow ovvero sull’ostinata resistenza che il protagonista principale oppone alla nuova situazione determinata dall’evento costituente il colpo di scena.
    Questo punto della sceneggiatura è un vero e proprio viaggio antropologico dentro la potenza della spinta umana alla conservazione della specie: sebbene cerebralmente adattivo, l’uomo oppone sempre resistenza ai cambiamenti specialmente riguardo quei comportamenti che ha codificato come “abitudine” in senso lato.
    A circa la metà del secondo atto vi è il punto di non ritorno ovvero il fatto, l’evento davanti al quale il protagonista si troverà e da cui non può tornare indietro.
    A pag.88 circa del testo deve inserirsi il secondo colpo di scena la cui funzione è quella di spingere l’azione verso il terzo ed ultimo atto. Lo sceneggiatore sa che può inserire quanti plot point vuole, ma, sin dalla formulazione dell’idea, deve avere chiari e ben definiti l’inizio del film, la sua fine, il primo ed il secondo  plot.
    Il terzo atto si chiama risoluzione: qui, il ritmo della narrazione diventa più intenso, il conflitto è portato al suo culmine ed è proprio nel climax che il protagonista prende coscienza di dover affrontare quel confronto- non importa se esterno o interiore – che gli consentirà di raggiungere il suo obiettivo che non deve necessariamente coincidere con la mèta che si era prefisso. L’obiettivo può ben essere un’altro, ma sarà quello che, comunque, lo porterà alla risoluzione del conflitto.<<Il terzo atto è un’unità di azione drammatica lunga trenta pagine, va dal colpo di scena alla fine del secondo atto alla fine. Nel terzo atto, occupato dal contesto drammatico della risoluzione, la storia si risolve, e si ha quella che viene definita “la soluzione”. Qual è la soluzione per la vostra storia? Il vostro personaggio vivrà o morirà, avrà successo o fallirà? Se non lo sapete voi, chi lo sa?>> suggerisce ancora Field.Abbiamo concluso con le cinque fasi della sceneggiatura, ma dobbiamo ancora rispondere a due domande: a quale genere letterario appartiene la sceneggiatura? E quale stile devo usare nello scriverla?
    Ti aspetto, per le risposte, al 30 novembre col secondo articolo sulla scrittura cinematografica.

Field S.,La Sceneggiatura.Il film sulla carta, Lupetti, Milano 1994 pag. 8

[1] Pasolini P.P., Empirismo eretico,Garzanti, Milano, 2003 pag.188.

[1] Pirro U.,Per scrivere un film, Lindau, Torino,2001, pag.57

Antonioni M., Quel bowling sul Tevere in Valerii T.Fare l’aiuto regista nel cinema e nella tv,Gremese Editore,Roma,1998, pag.103

[2]  Pirro U., opera cit. pag.58

[3] Field S. op.cit. pag.33

[4]Aristotele,Poetica,1450b26,in http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.01.0055%3Asection%3D1450b a (traduzione dell’autore dell’articolo)

[5] Field S. op.cit.pag. 23

[6] ibidem

[7] Ibidem  pag.26

[8] Ibidem  pag.28

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katia

Mi chiamo Katia Bovani e sono un editor, ghostwriter e writing trainer, aiuto le tue parole a diventare i tuoi testi. Quello per la lettura e la scrittura è un amore nato prima dell’età scolare per emulazione, diventato potente nella gioventù quando si è arricchito degli aspetti etimologico-linguistici e ora, nella maturità, è irrinunciabile.

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