È difficile, sai, fare divulgazione scientifica.
Oggi lo so, ma, per la verità, non sempre l’ho pensata così.
Molti anni fa, prima che iniziassi a occuparmi di scrittura e comunicazione scientifica, mi dicevo “eppure, se una persona che si occupa di scienza riesce a parlare a un pubblico di suoi pari, a maggior ragione gli riuscirà di parlare a me”
Oggi riconosco serenamente che ero in grandissimo errore.
E ti dico il “perché”.
Tre problemi, un approccio
- Semplificare
Perché un vasto pubblico possa comprendere un tema scientifico, è necessario che venga ridotto ai suoi elementi essenziali in maniera che si presenti “semplice”.
Già.
Ma…come fare perché la questione trattata non sembri o diventi ancora più semplice di quello che è in realtà?
In altre parole, come si rimane sul “semplice” senza che si scada nel banale?
E questo ci porta dritti al secondo problema
2) Il registro verbale
Hai presente quando il tuo avvocato ti dice cose tipo: “Ehh…non so se potremo proporre una domanda riconvenzionale cautelare” e tu ti innervosisci perché non comprendi e perché lui ti guarda come se tutto fosse normale ?
Hai ragione tu.
L’avvocato dovrebbe farsi comprendere.
Tuttavia, tieni conto di questo.
Per una persona formata in una determinata scienza e che non solo ha imparato il linguaggio tecnico proprio di quella scienza, ma lo parla quotidianamente per molte ore al giorno anno dopo anno…cambiare un codice verbale non è affatto semplice.
Al contrario, si tratta di una torsione cognitiva non indifferente.
Ma la divulgazione richiede proprio questo: farsi intendere da un numero di persone più ampio possibile a prescindere dalla loro cultura o dal grado di scolarizzazione.
Quindi, “semplificare” significa due cose:
- comunicare un determinato tema trattandone ogni elemento rilevante ( nessuno escluso) con un codice linguistico che definirei “scientifico accessibile”.
- mantenere il grado di scientificità della questione, cioè non scadere nel banale.
E questo comporta che, se le esigenze richiedono di mantenere un po’ di terminologia tecnico-scientifica, occorre manternerla dicendo espressamente che si tratta di un’esigenza e non un vezzo
E questo ci conduce all’ultimo problema che trattiamo
3) Presidiare il campo.
Una delle tante cose che la pandemia ci ha insegnato è che la comunicazione scientifica può essere molto porosa e lasciar filtrare i semi di quella piante infestante che è l’antiscienza.
Terrapiattisti, no-vax, scenario “vaccini- grafene-microchip-5G”(ma mettiamoci anche le scie chimiche, ché, tanto, male non fa!).
Sono tutte derive antiscientifiche originate da un unico elemento: la sommatoria di equivoci e dubbi che la comunicazione scientifica non ha saputo/potuto fugare.
Quindi, quando si divulga un sapere scientifico, è bene che, per quanto lo stato dell’arte lo consente, il campo dialettico sia resistente all’antiscienza.
Non è tutto qui.
Il discorso potrebbe proseguire, ma in questo momento non serve.
Il mio intento era solo dare un’idea molto vaga di cosa ci fosse dietro all’imponente lavoro di comunicazione divulgativa di Piero Angela.
Con quel suo modo di comunicare così ”british” eppure intriso di ironia latina, faceva sembrare tutto così naturale, semplice.
A partire dalla sigla.
L’ “Aria sulla quarta corda di Bach” entrò nelle nostre vite con la stessa facilità con cui, in quello stesso anno cioè il 1981, imparammo “Chi fermerà la musica” dei Pooh.
Fu il fortunatissimo anno de “Il postino “, “Bianco Rosso e Verdone”, “Momenti di gloria”.
Ed entrammo ( lo ricordo bene) nel mondo dell’informazione-divulgazione scientifica con la stessa spontaneità con cui ci facemmo rapire dalle musiche di Vangelis.
Non è un parallelo azzardato.
Anzi.
Consentire alla scienza di penetrare ogni tessuto sociale significa offrire a ognuno la possibilità di comprendere ciò che lo riguarda moltissimo, ma che la sua appartenenza culturale non gli ha consentito di raggiungere
Più si comprende, più si conosce.
Più si conosce, più si è consapevoli.
Più si è consapevoli, più si è emancipati, nel senso latino del termine.
Quel senso che ci riporta alla radice di ciò da cui è necessario emanciparsi.
“Ex mancipium”, ossia “fuori dal possesso”.
L’ignoranza.
Un termine che deriva dall’unione del latino “in” privativo e il verbo greco “gnorìzo” che vuol dire “conoscere”.
“Ignoranza” = “Non conoscenza”.
E, tieni bene conto, che utilizzo questo termine non per indicare una classe sociale, bensì l’estraneità cognitiva rispetto a un campo di conoscenza.
Personalmente sono un’ignorante della chimica.
Se conoscessi la chimica sarei consapevole di molte delle cose che accadono nel mio corpo.
Se conoscessi la chimica, sarei emancipata da quella ignoranza che, talvolta, mi porta a preoccuparmi di una minima alterazione del mio equilibrio elettrolitico.
Ecco perché la divulgazione scientifica (sia nell’ambito delle scienze dure che di quelle molli) è imprescindibile, oggi.
Ecco perché la nostra società occidentale italiana piange l’orfanitudine in cui si sente lasciata, oggi, con la morte di Piero Angela.
Checché ne dicano i predicatori dell’imminente morte della globalizzazione, viviamo una contemporaneità globalizzata.
I confini territoriali sono superati e assorbiti dalla porosità comunicativa del web.
Il mondo è diventato grandissimo e connesso.
Accessibilità, Sostenibilità, Inclusione sono i due pilastri di questa realtà.
Ma è anche affollato da particolarismi.
Quelli di matrice alessandrina riportano l’uomo a indagare se stesso e le sue connessioni con la realtà.
Gli altri particolarismi rappresentano quell’anelito di “rientro nel possesso” che è nemico dello Statuto Umano.
Ecco perché Piero Angela è stato essenziale.
Ed ecco perché abbiamo un bisogno, sempre crescente, di “emancipazione”
Foto: Piero Angela-Ansa
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