Chi mi conosce lo sa.
Nella prima parte della mia vita sono stata un avvocato – e uso il maschile perché, all’epoca, la questione del genere non esisteva e il titolo si usava al maschile
Ero portata per la parte più creativa del diritto, cioè la contrattualistica commerciale e le dinamiche societarie, comprese quelle associative.
La contrattualistica mi appassionava perché, dapprima, l’uomo inventa una forma commerciale e poi, soltanto molto dopo, la regolamenta.
Ma, medio tempore, ha necessità di contrattualizzarla ed è lì che interviene l’avvocato specializzato che è chiamato a inventare forme contrattuali che regolamentino la novità senza incorrere nei divieti della legge.
Tutto molto sfidante, appassionante, si percepisce un’adrenalina forte che proviene anche dalle responsabilità ( non piccole, non poche).
Lo stesso per la parte societaria: si impara a gestire e cavalcare le lunghe sessioni con la proprietà, i manager e/o le figure apicali.
Si impara la contrattazione in tutte le sue fasi, compresa quella transattiva in cui qualcuno deve sempre rinunciare a qualcosa per spuntare il massimo risultato ottenibile in vista di commerci proficui.
Soprattutto, si impara a saper discernere quand’è il momento di parlare e quando quello di rimanere zitti. E poi a a rinunciare conservando la rispettabilità e l’onorabilità della denominazione e del marchio.
Saper perdere e saper vincere passano, entrambi, dalle parole, dal tono e dalla scrittura argomentativa.
E se tutto questo vale per l’attività esterna all’impresa, a maggior ragione vale per quella interna.
Essere buoni leader, buoni imprenditori, buoni manager, buoni dipendenti passa dal saper tradurre la visione la mission dell’impresa con le parole, i toni, gli argomenti che accompagnano le azioni concrete.
Ho avuto la fortuna di lavorare con imprenditori lungimiranti in questo senso e con imprenditori al limite della meschinità: per me sono state molte rose e un buon numero di spine.
Ma, sia dagli uni che dagli altri ho imparato come si fa impresa e,in particolare, come si comunica dentro e fuori dall’impresa.
Dentro e fuori.
Due dimensioni della comunicazione che camminano parallele in un rapporto di sorellanza e, quindi, si somigliano senza sovrapporsi.
Ma, nel somigliarsi, sono tenute a essere coerenti e congruenti l’una rispetto all’altra.
E se così non è, prima o poi salta il banco.
All’epoca, avevo acquisito le competenze dell’editor e del ghostwriter per passione e mi è capitato spesso di dover unire i puntini tra il diritto e la comunicazione interna all’impresa, ché di quella esterna si occupavano i marketer esterni.
Oggi, ciò che all’epoca era passione, è diventato il mio lavoro.
Ma, del passato, qualcosa resta.
È come un filo elettrico sottile, dal segnale debole che, pure, si fa sentire e sta lì a ricordarci da dove veniamo, le esperienze, la nostra natura originaria.
Sul piano professionale, anche a me è rimasto qualcosa della mia professione precedente (come so che è accaduto tanti altri).
E ho scoperto che il punto di contatto tra essere stata un avvocato societarista ed essere un editor e ghostwriter argomentativi sta proprio qui: nella scrittura della comunicazione interna all’impresa.
Conoscere i meccanismi giuridici interni mi ha consentito di sviluppare una serie di modelli di comunicazione interna che si basa,su due capisaldi.
Il primo.
La comunicazione esterna si può chiamare, a buon diritto, “comunicazione aziendale” perché comprende non solo il profilo ideale (vision e mission ) e quello personale, ma anche il profilo relativo al complesso dei beni aziendali che diventano simbolo dell’impresa: il luogo, i beni mobili e immobili e persino i dati contabili, sono tutti elementi rilevanti per una buona comunicazione esterna della propria brand identity.
In altre parole, l’oggetto della comunicazione esterna è proprio l’azienda intesa nel senso giuridico del termine cioè quel complesso di persone e beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio della sua attività imprenditoriale
E ora veniamo alla comunicazione interna .
Essa ha uno scopo ben diverso dalla sua “sorella” e cioè quello di creare flussi di informazioni e conoscenze interni allo scopo di chiarire e condividere quelli che sono gli obiettivi dell’impresa.
Quindi, la comunicazione interna non ha per oggetto l’ “azienda” come complesso di beni e persone, ma le relazioni.
È il patrimonio umano della relazione a porsi al centro della comunicazione interna.
E se è vero che il suo scopo primario risiede nel raggiungimento degli obiettivi dell’impresa, è altrettanto vero che la “relazione” è un valore assoluto e dotato di una sua specifica individualità, mentre lo scopo pratico verso cui si orienta è prettamente incidentale.
Il luogo, i macchinari, il marchio…sono tutti beni aziendali che fungono da contesto della comunicazione interna.
Ma non sono gli elementi che la caratterizzano
Quindi, la comunicazione interna è “comunicazione d’impresa”, non “aziendale”.
Probabilmente ti chiederai quale sia la differenza specie per quanto riguarda il professionista cui rivolgersi per comunicare.
Beh, la differenza è una, ma molto significativa: il mindset che occorre per costruire la comunicazione d’azienda rispetto a quello che occorre per la comunicazione d’impresa.
E che (pur restando dell’alveo di quella “sorellenza” ) discende dalla profonda diversità tra questi due tipi di comunicazione.
Il secondo caposaldo.
La comunicazione interna d’impresa non passa da un solo registro.
Ma si articola su più registri in dipendenza
- delle tipologie di figure professionali coinvolte nell’impresa e capaci di dar luogo a tipi di relazioni umane diverse tra di loro,
- dei temi che ciascuna figura professionale incontra, vive ed è chiamato a gestire all’interno dell’impresa.
E così, per esempio, dirigenti e manager sono chiamati ad affrontare i temi del cambiamento, della leadership, delle strategie di superamento di crisi, etc.
Mentre tutto il comparto delle risorse umane deve affrontare i temi della formazione e dello sviluppo dei dipendenti, del feedback, inclusione e diversità, della sicurezza, della comunicazione interna della cultura aziendale, e così via. Lo stesso può dirsi per l’ufficio legale, il consiglio di amministrazione, etc.
Esistono, poi, alcuni temi che sono trasversali a tutti i profili interni all’impresa: dall’innovazione alla crescita passando per il work life balance.
Analizzato il bisogno e il fabbisogno di un’impresa, si possono creare modelli di comunicazione interna altamente tailorizzati e focalizzati.
Ecco l’unione dei miei puntini.
E ora, il tuo parere.
Che ne dici – da oggi e per un po’ di lunedì prossimi -di seguire i miei post su questo tema che è interessante, vivo, creativo e ci riguarda tutti?
E se vuoi progettare e scrivere la tua comunicazione d’impresa il tuo libro oppure, avendone già scritto uno, desideri sottoporlo a revisione prima di proporlo per la pubblicazione, contattami. Insieme costruiremo il percorso più funzionale ai tuoi obiettivi.