A volte, i fatti della vita si danno convegno in modo davvero misterioso.
E uso questo aggettivo (“misterioso”) in senso improprio, non esoterico.
Voglio dire che certi fatti e alcuni pensieri si incontrano in maniera strana.
Si camuffano per poi sbugiardarsi a vicenda, sgomitano per uscire per primi.
E poi arriva l’intuizione che, sparigliando le carte, si prende la scena e rimette tutti – fatti e pensieri – al proprio posto nell’ordine e nel grado deciso dall’intuizione stessa secondo il proprio insindacabile giudizio ( chè la democrazia è roba per chi ne è pronto!).
Come sai, anche io sono scrittrice. Saggista.
Ma, un po’ perché non mi piace dividere il mondo in categorie e un po’ per passione, frequenti sono le incursioni nella scrittura creativa.
Amo scrivere racconti.
Ebbene, circa due settimane fa, mi sono cimentata in un nuovo racconto in cui, per esigenze narrative, ho iniziato ad alternare i punti di vista. Non è semplice, ma si può fare.
Ad un certo punto, si presenta il dubbio amletico: ma, il lettore di questo racconto…chi è?
Cioè, chi voglio che sia il destinatario-lettore di questo racconto con alternanza di punti di vista?
Sai, nella saggistica è più facile: il libro che scrivi sceglie il proprio lettore in relazione al tema che tratta.
Quando, con il prof. Alessandro Bertirotti, ho scritto “Blockchain il futuro tra le mani”, sapevo benissimo chi sarebbe stato il mio lettore: chi condivide con il mio coautore e me i codici cognitivo-linguistici dell’argomento oggetto di disamina e interpretazione tecnica.
E, quindi uno studioso di AI, il mondo della Blockchain, un antropologo, un economista e un matematico teorico.
Lo stesso mi è accaduto con gli altri saggi scritti nel prosieguo.
Ma, nella scrittura creativa la problematica non è di così agevole soluzione.
Perché in questo ambito, un testo è tale non solo in virtù dell’atto autoriale, ma anche di quello del lettore.
Ce lo insegna nel suo libro “Lector in fabula”[1] la Stella Polaris della semantica e della filosofia, Umberto Eco.
Il quale pone il tema del lettore sin dalla sua Introduzione a “Lector” dove si legge: “Ecco, ora si rompono gli indugi e questo lettore, sempre accanto, sempre addosso, sempre alle calcagna del testo, lo si colloca nel testo. Un modo di dargli credito ma, al tempo stesso, di limitarlo e controllarlo. Ma si trattava di fare una scelta: o parlare del piacere che dà il testo o parlare del perché il testo può dare piacere. Si è scelto la seconda strada”
Come preannunciato dal suo titolo, il testo tratta del rapporto tra autore, lettore e interpretazione.
Eco sostiene che nell’atto di scrivere un autore ha davanti ai suoi occhi un “Lettore Modello”, cioè un’idea di chi dovrebbe essere il proprio lettore e il libro che sta scrivendo diventa un terreno di dialogo, confronto che quel lettore modello.
D’altra parte, chi è a decretare il successo di un libro?
I suoi lettori, ovvero coloro che decidono di acquistarlo.
Ma, continua Eco, il lettore non è un idolo statico, privo di volontà. Non è un mero recettore.
E ogni strategia che l’autore formuli ed attui per avvicinare il proprio, immaginato lettore modello, non sarà mai esaustiva per raggiungere l’obiettivo.
In realtà, il lettore è un essere raziocinante ed emotivo e da ciò deriva l’azione interpretativa che il lettore esercita sul libro.
Tramite essa, il lettore c.d “empirico” riempie di significato i non detti dell’autore nonché gli spazi vuoti del testo.
Ecco perché Umberto Eco parla di “cooperazione interpretativa”.
Ma…c’è un ma.
Nella scrittura di un romanzo come di un racconto, l’autore ha bisogno di immaginare il proprio Lettore Modello pena il decadimento della struttura del testo, il suo qualunquismo creativo.
Funziona come nel marketing dove si parla di “target”: se non hai chiaro il tuo target a chi comunichi?
Ecco, è stato proprio rileggendo “Lector in fabula” che ho focalizzato il mio problema: avevo iniziato a scrivere senza pensare né al lettore modello né ( tantomeno) al lettore reale.
E non conta che il mio racconto sia pubblicato o meno e, quindi, abbia o non abbia un lettore.
Dovevo immaginarlo e costruire le strategie giuste per raggiungerlo.
Non a caso, Eco scrive: “L’autore da un lato presuppone ma dall’altro istituisce la competenza del proprio Lettore Modello […] prevedere il proprio Lettore Modello non significa solo “sperare” che esista, significa anche muovere il testo in modo da costruirlo. Un testo non solo riposa su, ma contribuisce a creare una competenza.”[2]
Ed è importantissimo creare, avere di mira, coltivare, e scrivere in base a un Lettore Modello.
Perché ti identifica come scrittore e ti rende agevole la scelta dell’area editoriale in cui collocarti.
Tocca con le tue mani
Nel Vangelo secondo Marco, l’episodio del Getsemani si trova in 14, (32-42) e ti consiglio di stamparlo per seguire più agevolmente quanto diremo.
Il primissimo elemento narrativo che balza agli occhi è il continuo spostarsi di Gesù da un luogo all’altro .
Ben quattro spostamenti in dieci versetti.
“Poi, andato un innanzi”, “Tornato indietro li trovò addormentati”, “Allontanatosi di nuovo”, “Venne la terza volta e disse loro”.
Ci parla di un Gesù itinerante proprio nella fase immediatamente precedente il suo arresto e la Passione ed in cui prega, sì, per chiedere a suo Padre di allontanargli il calice del dolore, ma, soprattutto, per notificargli il suo essere pronto ad accettare di dover bere quel calice sino in fondo.
Ma se tu, lettore, volessi interagire con Gesù in quel momento, non potresti. Perché è impegnato a spostarsi da un posto all’altro.
Un Gesù che sfugge di continuo e che nell’allontanarsi in qua e in là lascia un vuoto.
Ecco emergere un primo fattore di interpretazione che il lettore deve sciogliere.
Se un personaggio del tuo romanzo preferito vagola in ogni dove, la lettura può diventare un po’ difficile perché…quando mai si lascia conoscere questo protagonista?
E poi, la sua assenza di cosa si riempie?
Ma se a “vagolare” è il Figlio di Dio subito prima del suo arresto, consapevole che andrà incontro a una morte lenta e sanguinosa…beh, le sue assenze devono pur essere funzionali a qualcosa.
E se riprendi la lettura ti accorgerai che ogni spostamento è preceduto dalla pronuncia, da parte di Gesù stesso, di un monito al quale non ammette replica (ed in ciò sta il secondo elemento di osservazione del testo).
“La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? […]”. “Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.”
Le frasi pronunciate contengono l’invito a vegliare cioè a pregare e questa è la ragione per Pietro, Giovanni e Giacomo non possono replicare ( cosa dovrebbero dire? Opporre un rifiuto? Oppure dire al Messia “scusa tanto, ma ho sonno”?)
Da ciò si deduce il primo elemento di interpretazione da parte del lettore: gli spostamenti e le assenze di Gesù creano un vuoto fisico che è e dev’essere riempito con la preghiera e con la meditazione.
Dunque, il lettore conosce il protagonista di questo episodio narrativo, prima di tutto, in virtù del suo dinamismo mirato a lasciare spazio all’incontro con Dio nella preghiera.
L’evangelista Marco ci mostra un Gesù che mette in mano ai suoi il silenzio, cioè quello che in teologia è chiamato segreto messianico[3]
Ok, andiamo avanti.
Guarda il modo in cui Marco fa parlare Gesù.
“Restate qui e vegliate”. “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”
“Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
Sì, è esatto ciò che pensi.
Si tratta di un linguaggio deciso, perentorio, non pre-potente o pre-varicante, ma forte, di quelli che non ammettono replica perché non c’è alcunché da replicare (immagina Simon Pietro che dice “ma io non ho voglia alzarmi…”: impossibile!)
Il Gesù dell’evangelista Marco (eccoti il terzo elemento di osservazione) è un uomo determinato, volitivo, padrone della situazione, consapevole di ciò è giusto e necessario fare e dire.
Non solo.
Ma, la narrazione di San Marco ci mostra un Figlio di Dio che padroneggia con estrema sicurezza i fatti.
Senza dubbi o/ ed esitazioni va diritto e diretto incontro all’incipit della sua Passione: il tradimento di Giuda e il consequenziale arresto.
“E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.
Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Allora gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo baciò. Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono”.( Marco 14, 43 – 46)
Sì, sì, hai ragione anche stavolta. Adesso è Gesù a tacere.
In piedi, fermo, ancora vibrante della tensione volitiva con cui aveva esortato i suoi alla preghiera ammonendoli di alzarsi e andarsene (“Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”), ancora in quella postura Gesù di fa trovare – immobile e inamovibile- dall’apostolo che lo tradisce.
In questo momento (quarto elemento di osservazione) è lo stesso Gesù a consegnare a se stesso il silenzio messianico. Non pronuncia la sua natura di Figlio di Dio.
Non anticipa ciò che avverrà. Perché, coerentemente, mostrerà la propria natura divina con i fatti.
Si potrebbe quasi dire… Jesus showed, don’t told.
E non solo da vivo, Gesù si fa conoscere nelle sua assenze colmate dalla preghiera.
Anche da morto.
Ricordi l’episodio del centurione ai piedi della Croce dopo che il Figlio dell’Uomo ha spirato? Egli dice: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Marco 15, 39).
Dunque…chi è il Lettore Modello di Marco?
Focalizziamo i punti chiave della narrazione marciana.
Gesù si sposta di continuo per favorire il silenzio, ogni scena dell’episodio “Getsemani” si apre e si chiude con l’entrata e l’uscita del personaggio principale.
Ogni scena è un quadro vivido, pulsante di vita propria.
In ciascun momento di solitudine Gesù prega il Padre in questo modo “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.
“Abbà” è una parola sanscrita che significa “papà, babbo”.
Rammenta che Marco scrive il suo Vangelo in greco, però non traduce il termine “abbà” con l’omologo greco “patèr”), preferisce lasciarlo nella forma originaria.
Osserva lo stile: stringato, asciutto, quasi giornalistico. Con chiarezza e lucidità, Marco compone un Gesù che va dritto incontro alla morte, certo del proprio destino e delle ragioni di quest’ultimo.
Destino al quale non si sottrae, ma scientemente lo accoglie perché Gesù sa benissimo chi è e non ha alcuna remora ad affermarlo: lui è “Il Figlio dell’uomo” che si lascia consegnare ai peccatori.
Marco apre la Passione con l’attestazione della natura divina di Gesù (“ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.”) e la chiude con un’altra attestazione di pari significato, quella del centurione che, nell’assenza fisica del Cristo – ormai spirato – dice “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.
Il Vangelo di Marco ha, per Lettore Modello, una persona coraggiosa, che “regge” l’impatto con i fatti .
Che sa subire i “no” riempiendoli dei significati che quei “no” portano con sé.
In questo passo di annuncio della Passione e Morte di Cristo, occorre un lettore pronto ad accogliere prospettive di senso diverse.
Un persona che, pur cosciente, sappia rispondere alle sollecitazioni che vengono dagli avversari con grande consapevolezza, quella che l’esperienza forgia.
Il Lettore Modello dell’Evangelista Marco è un lettore realista.
Ecco l’importanza di avere davanti agli occhi della mente il nostro Lettore Modello che, ovviamente, potrà coincidere – ed anche no – con il lettore empirico ( che, magari aggiungerà al libro, completandolo, interpretazioni che persino noi autori non avevamo attribuito al testo).
E il tuo Lettore Modello chi è? Sei consapevole della sua natura?
Sappi che è fisiologico avere titubanze in merito, nessuno di noi è Pirandello.
Ma non devi necessariamente affrontarle da solo.
Contattami: troveremo assieme il tuo Lettore!
[1] U.Eco,Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, La nave di Teseo, 2020.
[2] Ibidem pag.76
[3] Segreto messianico: Dalle Scritture emerge che, durante la sua vita, Gesù mai volle che venisse rivelata in pubblico la sua natura di Figlio di Dio. Il Vangelo di Marco è caratterizzato proprio da un Gesù che, in merito, impone il silenzio. Ai demoni che gli dicono “Io so chi sei: il Santo di Dio”, Gesù risponde sgridando “ Sta’ zitto!” (Marco 1, 24-25). Ai malati che guarisce miracolosamente e ai morti che risuscita dice: “Guarda di non dire nulla a nessuno” (Marco 1, 44).
Soltanto in privato Gesù spiega le parabole ( Marco 4, 34).