Katia Bovani

Strutturare una narrazione: i suoi tre atti e i riti di passaggio

scrittura creativa storia

Ebbene, tutte le narrazioni presentano questa struttura in tre atti.

Proprio tutte e sin dall’alba dei tempi vissuti dal nostro pianeta.

E non è una casualità: l’antropologia ci spiega come ciò sia possibile”.

Così si chiudeva il precedente articolo  ed  è da  questa considerazione che prendiamo le mosse per rispondere  a una precisa domanda: “Perché, da sempre, la narrazione si struttura in fasi separate tra loro?”

Già…perché?

Ognuno di noi ha vissuto un percorso esistenziale che, anche quando sembra presentare molti punti di contatto con il percorso altrui, è sempre nettamente diverso da quello di chiunque altro.

Questo ci rende originali rispetto agli altri? Sì.

Ci rende così unici  da non assomigliare ad alcun altro bipede terrestre tra le i 7 miliardi (e passa) di esemplari presenti sul nostro globo? Sì e no.

Un esempio ci aiuterà.

Prova a compiere questa operazione mentale: pensa a te stesso, poni mente locale al tuo percorso di vita.

Quando ti senti pronto, fai un ideale passo al di fuori di te e guarda la tua vita come se fosse un film in cui un altro interpreta la tua parte.

Forse non ricordi te stesso neonato, ma, probabilmente, ricorderai i tuoi primi passi, i Natali e i compleanni della tua infanzia, il primo giorno di scuola.

E poi il passaggio alla pubertà e la tua crescita in altezza, i cambiamenti fisici, gli sport praticati, le amicizie e l’arrivo dell’adolescenza.

Se sei una donna e guardi il film di te stessa rivedi il tuo menarca, i tuoi tentativi di muovere i passi nella nuova coscienza di te come femmina diversa dal maschio.

Se, invece, sei maschio, ti rivedi provare  le sensazioni fisiche ed emotive completamente inedite che ti hanno assalito quando la ragazzina del primo banco ti ha sorriso.

Ecco l’adolescenza con le sue turbolenze della crescita e maturazione fisica che non va di pari passo con quella psicologica e mentale.

Senti di nuovo, nelle tue orecchie, il coinvolgimento e lo smarrimento legati alle domande che ti ponevi a quella età: “chi sono?”, “cosa mia attende?”, “cosa vogliono gli altri da me?”.
È Il periodo della tensioni familiari, delle contrapposizioni con i genitori, dell’isolamento rispetto ai coetanei o, al contrario, dell’iperpresenzialismo… e tutto nel tentativo di trovare LA collocazione  nello strano mondo adulto che scorgevi all’orizzonte.

Il giorno del diciottesimo compleanno: festeggiamenti vari che, come una carta velina offuscano, quel tanto che basta, il vero senso della parola “maggiorenne”  e, allo stesso tempo, illudono di farti entrare nel Paese dei Balocchi dove puoi muoverti senza passaporto.
Se guardi meglio, ti vedi pronto per la vita forte della bellezza che viene dalla gioventù e dalla consapevolezza fisica di avere un corpo adulto, ma…c’è l’esame di maturità da superare e, una volta superato, festa!

E dopo università, esami, piccoli lavori, viaggi di formazione, infatuazioni che vanno e vengono, fidanzamento, “lasciamenti” d’amore, pianti, fughe….E finalmente la laurea.

Il tuo mondo si ferma per festeggiare il tuo traguardo: corona di alloro in testa, superpranzo coi familiari, grande festa con gli amici, regali .

La vera vita inizia qui.

Cominci a darti una fisionomia professionale o lavorativa in senso ampio.

Hai scelto di condividere il tuo futuro con una persona e volete sancirlo? Arriva il matrimonio. Civile, religioso che sia, ma con la sua preparazione, con la cerimonia .

Intanto maturi ancora e ancora finché non arrivano figli: se sei una donna ti guardi vivere la gravidanza sino al parto per poi essere “puerpera”. Il tuo corpo ha accolto, incubato e dato alla luce una vita.

Non sei più quella di prima. Hai acquisito lo status di “mamma”.

Se sei uomo, il parto ti ha traghettato verso lo status di “padre”.

Osserva…

Adesso sospendi la visione del tuo film e rifletti.

Il primissimo elemento che noti è questo: il tuo percorso di vita non ha avuto un andamento rettilineo, ma si è sviluppato per tappe.

Sei davvero sicuro che la tua vita sia corsa su un unico binario?

Se guardi bene, scorgi due binari, ovvero quello

  1. biologico: hai percorso le tappe della tua evoluzione biologica dal periodo neonatale a quello adulto
  2. psicosociale: hai percorso le tappe della tua evoluzione psicologica e sociale
  • adolescenza,
  • giovinezza,
  • il momento in cui hai acquisito il primo titolo scolastico importante sul piano sociale cioè la maturità,
  • il suo festeggiamento
  • la laurea che ti ha fatto assumere una fisionomia specifica sul piano sociale (proiettandoti in un possibile ruolo professionale)
  • il suo festeggiamento,
  • il matrimonio cioè la soglia della costruzione di un tuo nuovo nucleo familiare e celebrato secondo il rito civile o concordatario
  • la gestazione che, per te femmina, ha segnato il trapasso sociale nella categoria della donne che assolvono il ruolo sociale di procreatrice

Osservando ancora più a fondo, ti sembra che le diverse fasi di tipo biologico che hai vissuto siano andate di pari passo con quelle psicosociali?

Hai vissuto il menarca, ma non lo hai celebrato socialmente.

Così come la maturità è un evento che ti offre un’inquadratura sociale, culturale e psicologica al pari del suo festeggiamento, ma a questo momento non è corrisposta una tappa biologica e così via.

Da un punto di vista sistemico, non c’è alcuna differenza, anzi si potrebbe dire che le tappe biologiche e quelle sociali fanno parte dello sviluppo del “sistema uomo”.

Sono d’accordo, aderisco anche io a questo pensiero.

Ma l’angolo che cui questo articolo guarda la questione è quello rivolto a focalizzare i cosiddetti “riti di passaggio”.

Cos’è un “rito di passaggio”?

Si tratta di un concetto molto importante nella scrittura creativa.

Con questa espressione – coniata dall’antropologo Arnold van Gennep che, per primo, la teorizzò – si indicano quei dispositivi, quei riti che accompagnano l’individuo da una fase all’altra della propria vita.

La vita è un work in progress che comporta cambiamenti e – a volte – anche rivolgimenti: a livello cosciente, lo sappiamo tutti.

Ma, psicologicamente, il fatto di poter contare su una realtà che si mantiene costante, senza mutamenti rilevanti è qualcosa di rassicurante: siamo amanti della nostra comfort zone.

E quando il correre degli eventi ci costringe a uscire da quella comfort zone per andare verso un’altra realtà di cui non disponiamo le coordinate…ecco, questo ci fa cadere nell’angoscia, nella paura del futuro.

Siamo preda di questi sentimenti contrastanti anche nei casi in cui il cambiamento si profila positivo.

Quello che più ci fa sentire in balia degli eventi è l’attimo di consapevolezza del fatto che  stiamo lasciando lo status in cui eravamo ( magari non perfetto, ma pur sempre conosciuto e, quindi,  rassicurante) per acquisirne uno nuovo.

Ecco, il “rito di passaggio” celebrato alla presenza del nostro gruppo sociale è quello che ci trasporta dallo status precedente a quello successivo mantenendo il collegamento con la dimensione originaria: la presenza del gruppo sociale funge da àncora nella trasformazione che i legami subiscono per effetto del passaggio, il rito accompagna l’individuo attraverso la trasformazione.

Possiamo dire che il rito di passaggio è uno stargate.

A, esempio, la celebrazione del matrimonio è necessaria per il compimento di quei gesti rituali che, nella nostra cultura, servono a

  • far transitare due persone dallo status di “nubile” e “celibe” allo status di “coniugato/a”
  • creare un nuovo nucleo familiare con valenza giuridica e/o religiosa
  • sancire lo status giuridico-sociale di “figlio legittimo” in testa alla prole che ne nascerà
  • a costituire, nel nostro gruppo etnico-sociale e in capo ai neoconiugi, i diritti e i doveri previsti dalla legge italiana.
  • dimostrare alla società e per fatti concludenti, che i neosposi hanno voluto assumersi l’onore e l’onere di dar vita a una famiglia giuridicamente tale.

Tutta la nostra vita è composta da cambiamenti che, spesso, sono compiuti tramite “riti di passaggio”.

Fasi del  rito e della narrazione

Se provi a ripercorrere, anche solo davanti stesso, i cambiamenti che hai vissuto vedrai nascerne una narrazione, una storia che si articola in tre atti durante i quali affronti i “riti di passaggio” che Arnold van Gennep indicava come

  • fase della prossimazione. Questo è il momento in cui tu – come il protagonista del tuo romanzo preferito – sei stato spinto dalle circostanze e dagli eventi a uscire dallo status in cui ti trovavi e ad allontanarti dal gruppo che, con te condivideva quello status. In ragione di ciò ti sei avvicinato al rito di passaggio. ( da celibe/nubile ti sei distaccato dal gruppo dei celibi/nubili e ti sei avvicinato al rito del matrimonio)
  • fase della crisi e limen. Sei entrato nel vivo del vivo dal cambiamento, nel momento cruciale in cui tutto ( di bello o di brutto che sia) si muove a gran velocità. Sei preso dalla paura, dal timore oppure da quella forte, ma indefinibile emozione che ti strattona tra l’impazienza, la paura strisciante e il senso di inedito.Poi, il limen cioè quel punto di passaggio che è “limite”  e “soglia” nello stesso tempo.“Limite” dello status consolidato, “soglia” dello status nuovo cui vai incontro.
    Nel matrimonio la “crisi” si ritrova nella celebrazione del rito civile o religioso a effetti civili, mentre il “limen” coincide con la frase dell’officiante “ Vuoi tu X prendere la signora Y come tua sposa….”
  • fase della riaggregazione: sei uscito non solo dallo status precedente, ma anche dal rito che lo ha accompagnato e sei pronto per riunirti al tuo gruppo di origine nel tuo nuovo status, nella veste di uomo o donna trasformati dal percorso e anche dal rito. A prescindere dfal fatto che la vicenda trascorsa sia stata un evento stupendo o una tragedia, ne sei uscito con maggiore coscienza di te e del mondo e sei pronto per riprendere a vivere forte di nuove conoscenze e consapevolezza.

La narrazione della tua storia ti restituisce un “te stesso” trasformato.

Ogni romanzo che leggi è la narrazione di un personaggio ( o più personaggi) che compiono una trasformazione.

Il percorso che porta a quest’ultima si chiama “arco di trasformazione del personaggio” ed è stato teorizzato da Dara Marks nel suo libro “L’arco di trasformazione del personaggio” edito da Dino Audino Editore

Te ne consiglio la lettura per due ragioni: imparare a costruire una storia, ma, soprattutto, decifrare meglio la tua.

Se hai una storia da narrare, ma fatichi a darle corpo, contattami per un training nella scrittura creativa: sarò felice di essere il tuo .

Se hai scritto un romanzo e, prima proporlo a un editore, vuoi sottoporlo a revisione, contattami per un editing sul testo.

katia

Mi chiamo Katia Bovani e sono un editor, ghostwriter e writing trainer, aiuto le tue parole a diventare i tuoi testi. Quello per la lettura e la scrittura è un amore nato prima dell’età scolare per emulazione, diventato potente nella gioventù quando si è arricchito degli aspetti etimologico-linguistici e ora, nella maturità, è irrinunciabile.

Il file functions.php del child theme è stato caricato correttamente.